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CENTO ANNI DA QUEL 21-01-1921

21 Gennaio 2021

“La frazione comunista dichiara che la maggioranza del Congresso con il suo voto si è posta fuori dalla Terza Internazionale Comunista. I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala e sono convocati alle ore 11,00 al Teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito Comunista, sezione italiana della Terza Internazionale”.

Nasceva così 100 anni fa il Partito Comunista d’Italia, poi Partito Comunista Italiano, in un momento storico nel quale si intersecavano la sconfitta della grande ondata del Biennio rosso, la controffensiva reazionaria e l’avvento del fascismo, eventi dai quali i dirigenti comunisti impareranno molto e dai quali prenderà il via l’originalità del comunismo italiano.

Un vero e proprio paese nel paese, come lo definì felicemente Pasolini.
Ecco cos’era il PCI e non fu un caso, secondo me, se diventò il più grande partito comunista dell’occidente. Fu grazie al suo enorme contributo nella Resistenza che liberò l’Italia dal nazifascismo, certo, ma anche però grazie all’originalità della sua linea politica nel rapporto tra democrazia e socialismo, e dunque la teoria e la strategia gramsciana dell’egemonia come ispirazione e scelta di fondo e nella linea di Togliatti degli anni Trenta (in particolare nella svolta dei Fronti popolari), nella sua successiva elaborazione sulla via italiana al socialismo sviluppata poi da Longo e Berlinguer, che lo porterà poi a teorizzare l’eurocomunismo insieme ai compagni spagnoli e francesi. È possibile dunque individuare una linea di continuità, una organicità di elaborazione, che, muovendo dall’idea gramsciana della “rivoluzione in Occidente” e dalla strategia dell’egemonia, giunge appunto alla via italiana come “via democratica al socialismo” (o anche democrazia progressiva), che non era mera via parlamentare ma qualcosa di molto più articolato e complesso.

A questo si aggiungono altri elementi decisivi per la crescita del partito: il protagonismo delle masse e la loro mobilitazione, la conseguente politica delle alleanze sul terreno sociale e su quello politico, una concezione unitaria e anti-settaria volta al “fare politica” e al non separarsi dalle masse in tutte le situazioni, comprese quelle più proibitive e infine, l’idea del partito come “moderno Principe”, agente fondamentale della trasformazione e dunque necessariamente, intellettuale collettivo.

Ma i comunisti in Italia furono anche l’ARCI e lo sviluppo di una cultura diversa da quella cattolica imperante in Italia, furono le case del popolo e la solidarietà operaia, lo sviluppo del cooperativismo come modello alternativo di produzione. Furono le feste dell’Unità con folle oceaniche, furono nelle battaglie per il divorzio e l’aborto, furono anche in ritardo (che Longo tentò di colmare) nella comprensione del ’68 e dei mutamenti che stavano avvenendo nelle nuove generazioni.
Furono le scuole di partito nelle quali si formava la classe dirigente selezionata nelle sezioni, veri e propri luoghi di aggregazione sul territorio.

Il PCI fu la speranza che un mondo migliore e diverso da quello era possibile.

Poi il crollo del socialismo realizzato, dal quale il PCI aveva preso definitivamente le distanze nel 1981, e Occhetto interruppero quella storia.

Il resto è praticamente cronaca degli ultimi 30 anni. E quando penso alla fine del socialismo realizzato e a quella del PCI, o alla crisi che sta vivendo da anni la sinistra in Italia mi viene in mente una citazione di Norberto Bobbio che comunista non era:

“Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi, se mai ora e nel prossimo futuro su scala mondiale, che l’utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire: «L’avevamo sempre detto!». O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo «storico») abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? Non sarà bene rendersi conto che, se nel nostro mondo regna e prospera la società dei due terzi che non ha nulla da temere dal terzo dei poveri diavoli, nel resto del mondo la società dei due terzi, o addirittura dei quattro quinti o dei nove decimi, è quell’altra? La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista? “Ora che di barbari non ce ne sono più — dice il poeta — che cosa sarà di noi senza barbari?”.

Ora, per evidenti ragioni di età io non ho potuto far parte di tutto ciò, ma il Partito Comunista Italiano e la sua storia hanno influito molto sulla mia formazione politica.

È dal suo contributo alla resistenza, dalla sua concezione di partito, dalle case del popolo e dal lavoro per l’egemonia culturale e, soprattutto, dal suo essere la speranza di un mondo diverso e migliore che nascono il mio desiderio di militanza e la voglia di offrire un (seppur piccolo) contributo.

Da questo e da tanto altro che ho purtroppo solo potuto sfiorare leggendolo nei libri di storia.

Sono passati 100 anni da quel giorno e ormai 30 dalla fine di quella storia, ma penso che ancora oggi e forse più che mai ci sia il bisogno di riprendere in mano quell’eredità trasformandola nel presente, per costruire un grande partito che rappresenti di nuovo una speranza per un mondo migliore.

“Un paese nel paese, una specie di paese pulito e morale in un paese sporco”

PIER PAOLO PASOLINI

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